Essere il numero 1 (prima parte)

Sono sempre stato un tipo competitivo, fin da quando ero bambino.

Non so chi possa avermi messo in testa questa indole, considerando che i miei genitori potrebbero considerarsi l’esatto contrario della competitività. E non so nemmeno se questa tendenza sia venuta fuori per via traverse, magari a causa del carattere timido e introverso che avevo da piccolo, il quale potrebbe avermi spinto verso la ricerca di un’affermazione che fosse oggettivata da risultati tangibili, più che dai miei coetanei, superando proprio loro in qualunque cosa. Per farla breve: cercare di essere il migliore per essere accettato e apprezzato.

Non saprei dirlo, del resto non sono uno psicologo e nemmeno sono stato mai a ragionarci più di tanto, ad essere sinceri. Il bello però è che ci riuscivo davvero, a superare gli altri. Ho vissuto diversi anni, fino all’età di circa 13-14 anni a fare tutto meglio degli altri. A scuola il mio rendimento era il migliore dell’Istituto, consegnavo compiti di matematica perfetti dopo nemmeno un quarto d’ora, leggevo e scrivevo meglio degli altri, disegnavo meglio degli altri, a pallavolo giocavo meglio degli altri, anche di quelli che non conoscevo, vincevo tornei e medaglie con una facilità imbarazzante, in piscina ero il migliore, fuori correvo più veloce di chiunque altro, sia a piedi che in bici, giocavo a scacchi e battevo tutti. Insomma, nelle cose in cui mi applicavo un minimo, fisiche o mentali che fossero, non c’era storia con nessuno. E la cosa più impressionante era il fatto che non facevo il minimo sforzo per riuscirci. Semplicemente, le facevo e mi venivano meglio.

Tutto questo, considerando soprattutto l’età in cui si è sviluppato, deve aver certamente contribuito a costruire in me una mentalità che da una parte posso considerare meravigliosa e che sono contentissimo di avere (sono conscio delle mie capacità, non soffro la competizione, anzi, mi stimola a far meglio, non ho nessun tipo di ansia nell’affrontare persone o situazioni nuove, perché so che quello che farò lo farò bene, e via dicendo), ma che al tempo stesso potrei definire anche come problematica per tutti quegli aspetti legati al carattere e alle reazioni che ho quando mi trovo in situazioni che non mi piacciono, situazioni o persone che non sono “perfette” o che non fanno le cose “perfette” come vorrei. O anche quando, in un determinato contesto, non risulto essere io stesso perfetto come vorrei.

Negli ultimi anni, mentalmente, sto lavorando parecchio per migliorare questo lato negativo del mio carattere, e sono molto contento dei risultati che questo tipo di lavoro pseudo-meditativo mi sta portando. Il concetto di perfezione, in particolar modo, e la sua naturale evoluzione nella mia vita, è qualcosa a cui sono molto legato, nel bene e nel male. Ne riconosco la nascita, lo sviluppo e le sue implicazioni. Riconosco i problemi e le gioie che mi ha portato.

È una parte di me, che è cresciuta e che si è trasformata con me.

Ed è per questo, proprio per questo, che ho deciso di parlarne a parte nel prossimo articolo.

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