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Essere il numero 1 (seconda parte)

Concludevo l’ultimo articolo introducendo il concetto di perfezione, di quanto questa possa essere da un lato positiva e dall’altro un vero e proprio limite. O, almeno, di quanto sia stata così per me.

Di buono c’è il fatto che sicuramente, cercando di tendere alla perfezione, saremo portati a fare le cose fatte bene, ad informarci a fondo prima di agire, a ricercare informazioni sugli argomenti che ci interessano e che ci coinvolgono attivamente nelle cose di tutti i giorni, ad approfondire, ad avere sempre un occhio più concentrato sui possibili errori, così da poterli evitare. Tutto ciò si traduce in risultati migliori. E risultati migliori portano a quella soddisfazione che ci renderà motivati, quella soddisfazione che ci farà perseverare nei nostri intenti, mantenendo sempre una pretesa alta, la quale, di conseguenza, continuerà a portare quei risultati sperati.

Però. C’è un però. E qui arriva la parte in cui essere dei perfezionisti può essere un vero e proprio limite, che è poi quella che più mi interessa.

Qualcuno conosce la frase “Done is better than perfect”? Credo che, nel mondo dei citabili, sia attribuibile ad un discorso di Mark Zuckerberg, ma potrei anche sbagliarmi. Ad ogni modo: fatto è meglio che perfetto. In questa frase si racchiude tutto il senso di quello che intendo quando dico che la ricerca della perfezione, ammesso che questa esista (e non è così), può rappresentare un vero e proprio limite. Non è una cosa alla quale magari si pensi consciamente, ma fare le cose con lo spirito di doverle fare necessariamente in maniera perfetta è un vero e proprio blocco. Ci può far decidere, cioè, a livello inconscio, di non iniziare nemmeno quella tale attività. Oppure può frenarci, bloccarci, indurci a rinunciare quando siamo “a metà dell’opera”.

Quello che il nostro cervello mette al primo posto, quando accade quello che ho descritto, non è più il percorso, non è più il nostro “bello” nel fare qualcosa che ci piace e che ci fa stare bene, ma è soltanto la destinazione, il risultato. E quindi non sbagliamo una sola volta, ma almeno tre.

In primo luogo sbagliamo ad agire solo in virtù di un possibile risultato futuro, perché non possiamo assolutamente sapere come sarà quel risultato se prima non ci mettiamo lì a fare, sbagliare, correggere, andare avanti. Aggiungo anche che, come ormai è risaputo da tutti coloro i quali abbiano studiato o anche solo letto uno o più libri che parlano di psicologia personale, meditazione, felicità e simili, la nostra mente dovrebbe essere focalizzata il più possibile sul momento presente, il qui e ora, cioè l’unico momento che ci appartenga davvero e che può farci vivere la nostra vita a pieno.

In secondo luogo sbagliamo perché la ricerca di una perfezione, o comunque di un ottimo risultato, passa necessariamente dall’esercizio, dall’esperienza. Nessuno nasce fenomeno. Abbiamo delle predisposizioni genetiche, quello sì, ma sono soltanto delle predisposizioni: da allenare, migliorare, sfruttare. Non sono dei risultati a prescindere. Vogliamo essere bravi in qualcosa? Dobbiamo metterci lì e studiare, imparare, esercitarci. Non raggiungeremo mai la destinazione se non iniziamo a camminare, il teletrasporto non è di questo mondo.

Questo ci porta verso il terzo errore: la stasi. Più tempo perderemo a decidere se iniziare o meno a camminare verso la nostra destinazione e più il suo raggiungimento sarà posticipato. Anche volendo pensare al futuro e non al presente (sbagliato!), sbaglieremmo comunque a non iniziare subito con il nostro percorso. L’indecisione non farebbe altro che allontanare il nostro futuro da noi e non avrebbe dunque senso in nessuno dei casi.

Non è facile, lo so benissimo. Capirlo è facilissimo, quello sì, ma farlo è di una difficoltà impressionante, se siamo cresciuti con questa “ossessione da numeri 1”. L’ho vissuto e lo vivo sulla mia pelle, quindi capisco benissimo chiunque si trovasse nelle mie stesse condizioni. Ragioni, pensi, il tuo cervello fa mille congetture, ed intanto il tempo passa e le altre persone agiscono, fanno. Provi ad impostare una mezza cosa, non ne sei del tutto convinto, non ti sembra così perfetta come vorresti e molli subito. Poi a distanza di tempo rifai qualcosa e rimolli ancora. Intanto gli altri andranno avanti. Non faranno cose perfette, ma le faranno, e la loro abilità aumenterà di pari passo con il tempo che dedicheranno a quell’attività. E sai cosa succederà alla fine? Alla fine succederà che ti avranno superato, anche se magari sono partite anni luce dietro di te in quanto a potenzialità, e tu ti sentirai un coglione.

Un coglione ad aver sprecato il tuo potenziale.

Un coglione ad aver sprecato il tuo tempo.

Un coglione a pensare a quante cose avresti potuto fare se solo avessi iniziato subito.

Un coglione a pensare a quello che saresti adesso se avessi avuto anni di esperienza addosso.

Un coglione a vivere la vita che vivi, sapendo che avresti potuto vivere la vita che avevi sognato.

La bella notizia? Non c’è. C’è però una specie di via d’uscita, e si chiama azione. Il tuo potenziale sarà un po’ arrugginito e invecchiato dalla vita, ma è sempre lì che ti aspetta.

Hai sbagliato per anni, amico mio, non sbagliare ancora.

I nostri errori

Spesso ci accorgiamo dei nostri errori solo quando ci siamo finiti ormai completamente dentro. È come se dovessimo sbatterci per forza la testa, sentire quel colpo improvviso che ci fa risvegliare e che ci fa capire in un istante tutto quanto. A quel punto, e solo a quel punto, iniziamo a vederci chiaro, tutto ci appare limpido e ovvio come se fino ad un attimo prima fossimo stati ciechi, o forse sarebbe meglio dire accecati, schermati da un micromondo di preconcetti, abitudini che non ci hanno dato via di scampo. Ma il bello di questa vita è che una via di scampo esiste sempre e sempre esisterà, e, come dico sempre, dipende solo da noi, perché è proprio così.

Nonostante spesso dobbiamo sbatterci la testa per accorgercene o per capire quale sia l’uscita d’emergenza del nostro labirinto individuale, dovremmo sempre tenere a mente che tutto quello che vediamo o percepiamo oggi, ora, in questo preciso istante, non è tutto quello che esiste e che potremmo vedere o percepire tra un minuto, domani o tra un anno. Noi non siamo la verità assoluta del mondo e non siamo immodificabili alla vita e agli eventi, anzi. E questo è assolutamente un bene, perché altrimenti la nostra stessa vita non potrebbe mai coglierci di sorpresa e il nostro esistere sarebbe di una noia tremenda e mortale, fatto solo di emozioni calcolate, studiate, conosciute.

Non non siamo le stesse persone per tutta la vita, ma cambiamo continuamente. Non siamo le stesse persone nemmeno da un giorno a quello successivo. Penso ad un materiale plastico modellabile con la semplice pressione delle mani, come il pongo che usavamo da bambini. Anche noi ci trasformiamo e assumiamo forme diverse, facciamo azioni diverse, abbiamo pensieri diversi. A seconda delle situazioni, o anche semplicemente con il passare del tempo, con quella miriade di situazioni e piccole esperienze che facciamo ogni giorno.

È un bene, è assolutamente un bene.

L’unico dovere che abbiamo, verso noi stessi più che verso tutto il resto del mondo, è cercare sempre di migliorare. Fare passi avanti e mai indietro, a meno che un passo indietro non serva per farne poi due avanti.

Cercare di diventare persone migliori, persone più felici e più consapevoli.

E il mondo migliorerà in egual misura.